Streaming, quanto mi costi. Nell'ultimo anno le piattaforme di video on demand hanno ritoccato al rialzo i prezzi degli abbonamenti, tanto che il Financial Times ha decretato la fine definitiva dell'era dello streaming a basso costo.
Secondo il quotidiano finanziario, gli utenti statunitensi iscritti ai principali servizi di streaming video il prossimo autunno si ritroveranno a pagare 87 dollari mensili, 14 euro in più rispetto al 2022. Dalla corsa ai rincari non è escluso il resto del mondo, neanche l'Italia: secondo Repubblica, gli italiani iscritti a tutte le piattaforme di streaming audio e video più popolari rischiano di sforare il tetto dei 100 euro mensili, contro i 93 del 2022. Ipotizzando, invece, l'iscrizione a un servizio d'intrattenimento video, uno audio e uno sportivo, l'ammonto mensile sarebbe di 80 euro (20 euro in più rispetto ai 60 euro del 2022). Cifre affatto irrisorie, specie se cumulate al resto delle spese che le famiglie devono affrontare ogni mese.
Rincari per tutti
Il primo colosso a inforcare la strada dell'aumento dei costi degli abbonamenti è stato Netflix, che nel 2021 ha portato il piano standard da 11,99 a 12,99 euro e quello premium da 15,99 a 17,99 (mentre pochi mesi fa ha bloccato la condivisione delle password con l'aggiunta dell'utente extra). A seguire il suo esempio sono stati anche Amazon Prime Video e Disney+, con rincari rispettivamente di uno (da 3,99 a 4,99 euro) e due euro (da 4,99 a 6,99 euro). Non contenta, la piattaforma di Disney ha di recente annunciato nuovi rincari e l'addio alle password condivise dal 1 novembre. Aumento a doppia cifra, invece, per l'abbonamento a Dazn, passato dai 29,99 ai 40,99 per la versione standard e da 39,99 a 55,99 per quella premium.
La stessa sorte è toccata agli utenti iscritti alle piattaforme audio: negli ultimi tempi Spotify e Apple Music hanno aumentato i prezzi di un euro, portando le tariffe mensili a 10,99 euro per il primo e a o aumentato i prezzi di un euro, portando in entrambi i casi le tariffe mensili a 10,99 euro. Anche YouTube potrebbe fare lo stesso a partire dal prossimo anno.
Le motivazioni
Sarebbero diversi i fattori che hanno contribuito a gonfiare progressivamente i costi dei piani di abbonamento delle piattaforme di streaming: in primo luogo l'inflazione, che non ha risparmiato neanche il settore dell'intrattenimento online e dei media in generale, così come l'aumento dei tassi di interesse, i costi di produzione e i titoli dei colossi in picchiata a Wall Street, si legge sul Financial Times. I rincari, spiegano dal canto loro le aziende interessate, hanno però l'obiettivo di fornire contenuti di qualità ancora più alta.
Tra licenziamenti e scioperi, con l'industria cinematografica di Hollywood paralizzata dalle proteste prolungate, il rischio è che che saltino anche le (poche) produzione native rimaste.
Per gli utenti non disposti a sborsare cifre elevate, non resta che correre ai ripari con gli abbonamenti meno costosi che ammiccano alla TV tradizionale: quelli con la pubblicità.