Romolo, Remo e Khaleesi non sono tre nomi casuali (ispirati all'Antica Roma e al Trono di Spade). Sono i primi cuccioli di dire wolf, "enocioni" nella classificazione scientifica, una specie estinta da oltre 10.000 anni, riportata in vita grazie a un esperimento condotto dalla startup americana Colossal Biosciences che sta facendo discutere. Non si tratta di clonazione classica, né di ricombinazione tra specie: è un’applicazione avanzata di ingegneria genetica, frutto di un processo che unisce biologia molecolare, editing genico e tecnologie di laboratorio sviluppate solo negli ultimi anni.
Nati in un centro protetto degli Stati Uniti tra l’autunno 2024 e l’inverno 2025, i tre lupi preistorici sono il risultato di una lunga sequenza di operazioni complesse. Gli scienziati hanno ricostruito il genoma del dire wolf partendo da due campioni fossili: un dente vecchio 13.000 anni ritrovato in Ohio e un osso dell’orecchio di 72.000 anni proveniente dall’Idaho. Il DNA è stato decifrato e confrontato con quello del lupo grigio moderno, identificando 14 geni chiave da modificare.
L’ingegneria genetica dietro la rinascita
Il vero salto tecnologico è avvenuto nella fase successiva. Gli scienziati di Colossal non hanno utilizzato tessuti da un animale morto – come avveniva nella clonazione classica – ma cellule staminali progenitrici endoteliali (EPC), estratte dal sangue di un lupo grigio. Su queste cellule è stato applicato un editing di precisione per riscrivere le porzioni di DNA, adattandole al profilo genetico dell'enocione.
Una volta modificato il nucleo della cellula, questo è stato trasferito all’interno di un ovulo privato del proprio DNA. Il risultato è stato un embrione geneticamente "programmato" per svilupparsi come enocione. Di 45 ovuli modificati, tre sono riusciti a svilupparsi completamente in altrettante gravidanze portate a termine da madri surrogate: cani di grossa taglia scelti per la compatibilità fisica e la resistenza alla gestazione.
La nascita dei cuccioli è avvenuta con parto cesareo pianificato. Dopo pochi giorni di allattamento, sono stati svezzati artificialmente e oggi vivono in una riserva naturale recintata di 2.000 acri, sorvegliati 24 ore su 24.
Un laboratorio per la biodiversità?
La vera posta in gioco non è solo la spettacolarità del risultato. Colossal non si limita al fascino della resurrezione di specie iconiche. L’azienda sostiene che le tecnologie sviluppate per la de-estinzione possono aiutare anche nella conservazione delle specie in pericolo, migliorandone la resistenza genetica. La stessa tecnica impiegata per riportare in vita il dire wolf è ora usata per clonare il lupo rosso americano, di cui sopravvivono solo pochi esemplari.
Colossal sta inoltre lavorando alla creazione di un elefante con tratti del mammut, riscrivendo almeno 85 geni dell’elefante asiatico per dotarlo di pelliccia, grasso sottocutaneo e tolleranza al freddo. Anche in questo caso, nessun DNA antico viene innestato: il codice genetico viene "riscritto" per riprodurre le caratteristiche dell’animale estinto.
I dubbi etici e il rischio di sensazionalismo
Non tutti, però, condividono l’entusiasmo con cui Colossal ha presentato il risultato. Alcuni scienziati invitano alla cautela, in particolare sull’uso del termine "de-estinzione", ritenuto fuorviante. I cuccioli nati non sono copie fedeli degli enocioni, ma versioni moderne ottenute modificando una parte limitata del patrimonio genetico del lupo grigio. Secondo alcuni esperti, i geni alterati sono solo una piccola frazione di quelli che potrebbero aver definito davvero la specie estinta. In assenza di un genoma completo e accurato dell’enocione originario, parlare di un ritorno autentico rischia di essere più una costruzione narrativa che una realtà scientifica.
Inoltre, altri esperti, come il bioeticista Stephen Latham, riportare in vita una manciata di mammut o lupi preistorici rischia di creare animali condannati a una vita in cattività, incapaci di vivere davvero “da mammut” o “da lupo”. Gli enocioni di Colossal, per esempio, vivranno sempre in un’area protetta di 800 ettari, senza mai cacciare né formare un branco come farebbero in natura.
Anche la clonazione solleva dubbi etici. La procedura, seppur meno invasiva rispetto al passato, comporta rischi per le madri surrogate e possibili difetti nei cuccioli, come si è visto in altri animali clonati. E poi c’è il timore ecologico: introdurre nuove specie, o meglio vecchie, in un ecosistema moderno può causare squilibri imprevedibili. La storia recente abbonda di esempi negativi, come quello dei rospi di canna in Australia.
Colossal, però, prosegue senza tentennamenti. Dopo i dire wolves e il "topo lanoso" creato con geni di mammut, l’azienda punta alla rinascita del dodo e della tigre della Tasmania. E ha già raccolto fondi per oltre 10 miliardi di dollari, creando spin-off per biotecnologie ambientali e farmacologiche.
La domanda allora diventa: chi decide cosa riportare in vita? E perché? Per l'azienda americana, la risposta è chiara: gli esseri umani, responsabili dell’estinzione di molte specie, hanno anche il dovere morale di tentare di rimediare. Ma tra possibilità scientifica e responsabilità etica, la linea di confine è sottile. E il futuro della biodiversità, oggi più che mai, sembra scritto nei laboratori.