Perché le batterie al silicio-carbonio possono fare la differenza

Il silicio-carbonio aumenta la densità energetica delle batterie, permettendo smartphone più sottili e pieghevoli con autonomie reali di un’intera giornata, senza cambiare design o comprometterne l’uso

di Greta Rosa - 04/09/2025 09:37

Per anni l’evoluzione degli smartphone si è misurata su fotocamere, schermi, processori, ora sull'intelligenza artificiale e le sue più disparate applicazioni. Ma c’è un punto che resta critico e meno spettacolare: la batteria. L’autonomia, specie nei modelli più sottili e nei pieghevoli, è spesso il vero collo di bottiglia. Qui entra in gioco il silicio-carbonio, una tecnologia che può cambiare i parametri di riferimento senza stravolgere formati e design. Non a caso Honor l’ha già introdotta su larga scala con il nuovo Magic V5, il primo pieghevole a montare una batteria di questo tipo.

Cos’è e perché è importante

Le batterie agli ioni di litio usano anodi in grafite, con una capacità specifica di circa 370 mAh/g. Il silicio, invece, può teoricamente arrivare a 3.579 mAh/g: quasi dieci volte di più. È come passare da una spugna normale a una super-spugna capace di trattenere molta più energia.

Il problema è che, durante i cicli di carica, il silicio tende a espandersi fino al 300% del suo volume iniziale. Questo provoca fratture nell’elettrodo, crescita continua dello strato SEI (Solid Electrolyte Interphase) e perdita rapida di capacità. Per superare l’ostacolo, i produttori hanno iniziato a puntare su un composito silicio-carbonio, dove il carbonio agisce da scheletro conduttivo e flessibile, mentre il silicio immagazzina energia.

I benefici sugli smartphone

Nei dispositivi mobili la densità volumetrica conta più di quella gravimetrica: in altre parole, interessa quanta energia si può stipare in pochi millimetri di spessore. E qui il silicio-carbonio fa la differenza.

Grazie a questa chimica, oggi è possibile montare batterie da oltre 5.800 mAh in soli 2,6 millimetri di spessore, un traguardo impensabile fino a poco tempo fa per i pieghevoli, che devono fare i conti con spazi ridottissimi. L’Honor Magic V5 ne è l’esempio più chiaro: integra una batteria al silicio-carbonio da 5.820 mAh in uno chassis sottilissimo, superando così uno dei limiti storici di questa categoria. In Cina sono già comparse varianti con contenuti di silicio più alti, capaci di spingersi oltre i 6.000 mAh mantenendo scocche sottili.

Tradotto in uso quotidiano, significa smartphone che non chiedono più compromessi: durata di un’intera giornata piena (o più), anche su formati pieghevoli, senza dover aumentare peso e volume.

Come si gestiscono i limiti

La vera sfida resta la stabilità nel tempo. Le aziende hanno messo a punto diverse strategie: lavorano sull’ingegnerizzazione delle particelle di silicio (modellandole in forme sferiche o porose per distribuire meglio l’espansione), sviluppano leganti più elastici, in grado di mantenere coeso l’anodo anche durante i cicli di gonfiaggio e contrazione, e infine puntano su sistemi di gestione intelligente, con chip dedicati che regolano corrente e temperatura in base all’uso.

Alcuni produttori parlano di materiali “autorigeneranti”, capaci di limitare l’espansione al 30% e di migliorare la vita utile fino al 60%. In parallelo, algoritmi di intelligenza artificiale sono sempre più coinvolti nel Battery Management System, per ottimizzare la ricarica e ridurre lo stress della cella.

Una transizione verso il futuro

Il silicio-carbonio non è lo stato solido, ma è un passaggio cruciale, perché ermette di aumentare la densità energetica e ridurre lo spessore delle celle senza cambiare radicalmente infrastrutture e processi produttivi. È per questo che diversi smartphone in uscita, come appunto il Magic V5, lo stanno già integrando su larga scala.