In un mondo digitale che si è ormai spostato tutto sui video, avere la corretta attrezzatura è ciò che fa la differenza. Noi ci affidiamo da sempre alle mirrorless, più precisamente da un paio di anni è una Sony A6700 ad accompagnarci in tutte le nostre avventure, in redazione e sul campo. Ma tutti ben conosciamo i limiti di queste macchine in mobilità, dove la stabilizzazione e l'improvvisazione sono una costante. Per questo motivo gli smartphone sono diventati parte integrante del nostro flusso, d'altronde i sensori d'immagine dei top di gamma riescono a catturare scene ad una qualità altissima. Ma hanno un limite: sono dei telefoni e come tali possono servire per tante altre attività e in registrazione video consumano rapidamente la batteria.
C'è una terza categoria di prodotto, che definirei ibrida, che si è affacciata sul mercato negli ultimi anni e ammettiamo di averla osservata da lontano con un po' di diffidenza: quella dei "gimbal" con sensore d'immagine integrato. A capo di questa categoria la Osmo Pocket 3, che abbiamo provato nell'ultimo mese con enormi soddisfazione. Ma andiamo con ordine.
Com'è fatta
La Pocket 3 è l'ultima evoluzione della serie: passata al sensore da 1" con possibilità di registrare in 4K/120p, D-Log M e HLG a 10 bit, più schermo OLED ruotabile da 2" che permette di passare in un gesto da verticale e orizzontale. Rispetto a Pocket 2 (1/1,7", 4K/60, display piccolo fisso), il salto in qualità d’immagine e usabilità è evidente, soprattutto in low light e nei workflow HDR. La stabilizzazione rimane meccanica su tre assi, ma la gestione dell’autofocus e del tracking è più matura.
Nel nostro uso itinerante l’ActiveTrack 6.0 è stata la funzione decisiva: l’auto-rilevamento del volto e l’inquadratura dinamica ci hanno permesso di muoverci liberamente senza “bucare” il fuoco. È la prima pocket-cam che posso appoggiare su un mini treppiede e lasciare lavorare da sola con risultati coerenti clip dopo clip. La messa a fuoco full-pixel ci ha aiutato poi nei cambi di piano rapidi.

Qualità d’immagine e stabilizzazione
Il sensore da 1" porta più gamma dinamica, colori meno compressi e notturni credibili; i profili D-Log M e HLG offrono molto spazio in gradazione per contenuti destinati a display HDR. La stabilizzazione gimbal è ancora il punto di forza: correndo o salendo scale ho ottenuto footage pulito, senza la “gomma” tipica dell’elettronica pura. Lo slow-motion 4K/120 è utilizzabile, non un mero esercizio di forza.
La compatibilità DJI Mic 2 in wireless diretto è comodissima, anzi, fondamentale in mobilità. Si accoppia senza ricevitore dedicato e riduce il setup, cosa non da poco. Per consegne rapide abbiamo anche sfruttato l’app LightCut per trasferire subito le clip sullo smartphone ed editare montaggi “one-tap” per Reels/Shorts quando non avevamo il laptop con noi.
Autonomia e ricarica
Nei nostri test una batteria copre senza ansie un’ora abbondante di riprese miste; i valori ufficiali parlano di 116 minuti a 4K/60 e 166 minuti a 1080p/24, con ricarica rapida all’80% in 16 minuti. Sul campo abbiamo constatato una buona tenuta della batteria e una ricarica effettivamente rapida, ma non ci sarebbe dispiaciuta una seconda batteria nel kit base.
Cosa mi è piaciuto (e cosa no)
Promuoviamo dunque a pieni voti l’ActiveTrack del viso, la stabilizzazione sempre affidabile, la resa dell’ottica/sensore e la connessione diretta ai Mic 2. L’app per scaricare subito i file sul telefono è un acceleratore di workflow quando serve pubblicare al volo.
Avremmo voluto una USB-C più accessibile quando è su supporti, e il metodo di accensione meno “forzato”. Nel complesso, se arrivate da Pocket 2, l’upgrade ha senso per qualità d’immagine, schermo ruotabile, tracking e 10 bit: la Pocket 3 è una pocket-cam finalmente “completa”. Chissà cosa ha in serbo DJI visto che in rete circolano già leak della prossima Pocket 4 con doppio sensore d'immagine.