Comprereste mai un tavolo di design da un brand di abbigliamento? Probabilmente no. Secondo un principio di marketing abbastanza consolidato, almeno nel mondo occidentale, spostare il valore (e la fiducia) che attribuiamo a una marca verso nuove categorie merceologiche – quella che in gergo si chiama brand extension - è impresa piuttosto complicata, o quantomeno rischiosa.
Le recenti evoluzioni a cui stiamo assistendo nel mercato tecnologico sembrerebbero, però, voler dimostrare il contrario. Da qualche tempo a questa parte, infatti, i grandi nomi dell’hi-tech mondiale hanno dichiarato, più o meno esplicitamente, il proprio amore verso un settore fino a ieri poco più che tangenziale rispetto ai propri interessi, quello delle auto. Dalla tanto chiacchierata (sebbene ancora top secret) Apple-car alla Waymo di Google, dall'auto di Huawei fino a quella di Sony in collaborazione con Honda, i segnali di un riposizionamente nel mercato della mobilità, nel senso più allargato del termine, sono quanto mai evidenti.
L’ultima voce a unirsi al coro è quella di Xiaomi. La società cinese, nota al grande pubblico per la sua esperienza nel mercato degli smartphone e dell'elettronica di consumo, ha svelato qualche mese fa il suo primo progetto a quattro ruote, una supercar elettrica dal design molto simile a quello di una Porsche Taycan, che promette velocità massime di oltre 265 km/h e autonomia fino a 800 km. SU7, questo il nome del progetto, non è un’idea sulla carta o un prototipo avveniristico, ma un modello ormai (quasi) pronto a fare il suo ingresso sul mercato, anche se per il momento solo quello cinese.
"Non sarà solo un’auto", ci ha tenuto a precisare il direttore internazionale della comunicazione di Xiaomi, Daniel Desjarlais, in occasione del Mobile World Congress, sede scelta per la premiére europea della vettura, "ma un tassello importante di un ecosistema più ampio che mira a mettere le persone al centro". Sono proprio questi attributi, commenta il responsabile, a "renderci consapevoli di poter offrire agli utenti qualcosa di unico rispetto ai marchi tradizionali".
Nella visione del marchio cinese, insomma, l’auto del futuro non sarà più (solo) un mezzo utile per gli spostamenti, ma un “luogo” sempre più collegato al nostro vivere quotidiano, fuori e dentro l’abitacolo. Xiaomi parla non a caso di una visione Human X Car X Home, quasi a voler allargare i confini dell’esperienza digitale per come siamo stati abituati a viverla finora.
Un assaggio di questa prospettiva la intravediamo all’interno di HyperOS il sistema operativo che la stessa Xiaomi ha mostrato durante la presentazione dei suoi nuovi smartphone top di gamma, Xiaomi 14 e 14 Ultra, un ecosistema digitale aperto che non si limiterà a fare da ponte fra il telefono, le applicazioni e gli altri oggetti connessi, ma che di fatto andrà a permeare tutte le interazioni digitali presenti nel nostro quotidiano.
In che modo questo concetto di continuità si tradurrà in concreto non è ancora chiaro, per il momento. Ma una cosa certa: passeremo dallo smartphone all’auto e agli altri oggetti connessi in modo molto più naturale, quasi invisibile rispetto a tutte le varie procedure che oggi ci consentono di far dialogare tutti gli oggetti connessi.
Che l’auto stia diventando qualcosa di desiderabile per via del suo pedigree tecnologico, più che per la vecchia leva del “piacere di guida”, lo si era capito da tempo, del resto. Dall’avvento di Tesla, forse, ma anche dalla tendenza sempre più evidente di tutto il mercato automotive a reclamizzare le proprie creature puntando sulla guida assistita, sull’infotainment digitale e sulle altre miracolose feature abilitate dall’intelligenza più o meno artificiale.
Per questo motivo, viene difficile considerare la scalata di Xiaomi e dagli altri big dell’hi-tech come un salto nel buio o un tentativo maldestro di brand extension. Il rischio delle ormai celebri lasagne di Colgate, insomma, qui non si pone. È la transizione stessa all’elettrico a certificare, e in un certo senso a raccomandare il passaggio. Un modello EV è più semplice dal punto di vista meccanico rispetto a un modello con motore termico. Ed è per sua natura già predisposto per interagire con le tecnologie digitali, i sensori, i sistemi di controllo elettronico.
Ciò non significa che sarà un passaggio semplice o scontato. La costruzione di un’auto elettrica pone sfide più complesse, oltre che costose, rispetto a quelle dell’hi-tech tradizionale. Basti pensare al ruolo critico delle batterie, che – nel caso di Xiaomi – sono prodotte in collaborazione con CATL secondo criteri di massima integrazione all’interno della carrozzeria dell'auto per aumentare la rigidità strutturale e lo spazio disponibile nell’abitacolo.
Ci sono poi gli sforzi necessari per sviluppare di un sistema di infotainment all'altezza del nome, un orizzonte che coinvolge tutti quei partner – è il caso di Qualcomm - che fino ad oggi hanno consentito al mondo hi-tech di dare un’anima e una solidità computazionale ai propri dispositivi smart.
Senza dimenticare tutto ciò che attiene la parte "senziente" di una vettura elettrica: non solo il LiDAR, ma anche i radar a onde millimetriche e ultrasuoni che, congiuntamente alle telecamere HD (ben 11 sulla SU7), provvedono a garantire quella visione completa e dettagliata dell'ambiente che è essenziale per l’assistenza alla guida (ADAS).
Per fare tutto questo e molto di più, Xiaomi ha già messo sul piatto 10 miliardi di yuan (circa 1,4 miliardi di dollari) con un obiettivo di spesa che complessivamente raggiungerà i 10 miliardi di dollari. Investimenti davvero troppo elevati per pensare a un semplice esperimento di marketing.
Il dado è tratto, insomma, indietro non si torna. Tanto più in un contesto nativo, come quello cinese, che a livello governativo investe come nessun altro per la transizione all’elettrico.