Il termine “carbon neutral”, lo sappiamo bene, è piuttosto controverso. Soprattutto se associato a prodotti e servizi. Il rischio, ha ammesso l’Unione Europea attraverso la recente direttiva contro il greenwashing, è che dietro l’etichetta di neutralità si nascondano tentativi di promozione basati sul classico ecologismo di facciata.
L'IPCC (l'organizzazione intergovernativa sul cambiamento climatico), del resto, definisce la neutralità del carbonio come “una situazione in cui le emissioni nette di CO₂ antropogeniche siano compensate su scala globale dall'assorbimento della stessa CO₂ in un determinato lasso di tempo”. Un equilibrio che forse ha più senso trattare su scala globale (questo in fondo è l'obiettivo che tutti gli Stati si sono prefissati di raggiungere entro il 2050 attraverso l'Accordo di Parigi), piuttosto che relativamente a singole produzioni industriali. Queste ultime, infatti, si trovano quasi sempre a compensare le cosiddette emissioni hard-to-abate (difficili da abbattere) attraverso crediti di carbonio generati al di fuori della catena del valore dell'azienda. Utilizzando metodi che – in molti casi - sfruttano metodologie che non sono sempre trasparenti o accurate.
Ridurre le emissioni: si comincia dal riciclo
Le premesse appena viste, tuttavia, non hanno impedito a Apple di lanciare il suo ultimo computer desktop casalingo in formato compatto, il nuovo Mac mini con chip M4, definendolo come "il primo Mac carbon neutral". Una qualifica che la società di Cupertino ritiene di poter utilizzare a ragione per via di un abbattimento delle emissioni rendicontato con dovizia di particolari.
In termini di compensazione diretta, Apple ha lavorato su diversi fronti. Ha utilizzato il 50% di contenuti riciclati, tra cui alluminio 100% riciclato nel guscio, oro 100% riciclato nelle placcature di tutti i circuiti stampati progettati da Apple e terre rare 100% riciclate in tutti i magneti. L’elettricità usata per la produzione di Mac mini proviene da fonti di energia rinnovabile al 100%, mentre per il packaging si è deciso di puntare su una confezione interamente basata su fibre. Per ridurre ulteriormente le emissioni derivanti dalle operazioni di trasporto, Apple sta passando a metodi di spedizione che generano basse emissioni di carbonio, come i trasporti via mare.
Il risultato finale di queste azioni è un’impronta ambientale di 32 kg di CO₂ equivalente. Se vi sembrano tanti, considerate che è poco più di quanto si emette per avere sulla nostra tavola una bistecca di manzo da 1 kg (27 kg di CO2e). Comunque poco, oltre l’80% in meno rispetto alla prima versione con M1 del 2020, quando i Kg di CO2 erano 172.
Il controllo sulla compensazione
Per azzerare completamente l’impronta, Apple ha scelto la strada della compensazione attraverso iniziative di riforestazione in Brasile e Paraguay promosse dal suo Restore Fund, il progetto annunciato nel 2019 in collaborazione con Goldman Sachs e Conservation International, il cui fine ultimo è "offrire benefici che vanno ben oltre l’abbattimento della CO₂, dal potenziamento dei mezzi di sostentamento locali fino all’aumento della biodiversità".
Il vantaggio che Apple può reclamare rispetto ad analoghe operazioni di compensazione attraverso credit carbon è chiaramente il controllo diretto dell’iniziativa. In passato (sintomatico il caso di Delta Airlines e di molte altre compagnie aeree) questi progetti di abbattimento si sono infatti avvalsi di attività di riforestazione di terze parti non proprio trasparenti, che in molti casi hanno fatto parlare di “crediti fantasma”.
Il Restore Fund, si legge sul Rapporto di Sostenibilità di Apple, "mira a trasformare la rimozione del carbonio da costo a investimento potenzialmente redditizio. Creando un fondo che genera sia un rendimento finanziario finanziario e un impatto reale e misurabile sulle emissioni di carbonio".
Inoltre, per assicurarsi che il carbonio immagazzinato nelle foreste venga accuratamente quantificato e trattenuto permanentemente fuori dall’atmosfera, si legge ancora sul sito della casa, il fondo impiega standard internazionali sviluppati da organizzazioni riconosciute come Verra, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima. Dando priorità agli investimenti nelle cosiddette working forest, le foreste in grado di produrre legname in modo sostenibile, che migliorano la biodiversità attraverso la creazione di zone cuscinetto e terreni a riposo.